21 dicembre 2011

Apologia di beato




L'uomo dell'anno (FG2011)












Aspetto il sabato per trattenerlo. Occorre
diventi consueta questa guglia dove
necessita un parafulmini
nell'occhio della tempesta. Annuvola
persino al coperto. La città è assente
da molte case, dai volti
precipitati addosso.


Le mani che ero, aperte
e concesse, fermano un tuono
alla testa.

17 dicembre 2011

Prendiamoci in giro


Auguri a Te.














All’improvviso evochiamo la danza
in cui il respiro ci solleva di peso,
innanzi tutto il posto
dove è già posto il piede. Poi,
della stessa pianta, elenchiamo
i precedenti: le orme successive
degli angeli supplenti
protesi da zolle ai sottopiani del vento.
Riconosciamo l’arrivo alla riva
dai profili, la perdita delle branchie
da come spiaggiamo, gli innumerevoli sotterfugi
per diventare integerrimi della Terra
in comodato d’usura.

Io lascio l’alito a questa
finestra, dove l’epoca
inonda il frangente.

14 dicembre 2011

L'ultimora

Cetara (SA) - Proprio di fronte, a 5 passi dal senso.













Ciò che ferma
la macchina dei denti non somiglia al sonno,
piuttosto a perdita d'occhi, una insufficienza
di lenti.
Niente altro dalla gabbia
su cui scommettere l’ossigeno; avvia
dolersi del gelo, gli umori
in bilico sopra aghi puntigliosi

- quelli cui tocca introdurre nell’aria
la neve e il grido, geòde del silenzio.

Ecco: è come speri
apra le braccia il luogo
sospetto d’affetto.


2 dicembre 2011

Dinamica del converso


Foto G. De Marco - Taverna Paradiso (Orria - SA)


Nel corpo siamo indigeni o, forse,
solo malmessi. Serve capire da dove entrammo.
Sederci alla sua soglia e osservare
la gente deludersi. Individuare la fuga
dal suo limite (comunque; da tare).

Ci sono estremi anche negli atomi. Ma in tempo
trasformano il loro tuono. Un modo
che incita le connessioni a tenersi
nel cambio di stato. In figura
si fa tardi a rispondere
che cosa cambi nella migrazione: il bagaglio
è sempre ridotto all’osso. Partecipiamo con le mani
alla faccia della terra, ci distingue il grado.

Questo gesto, nella parte minore di me,
è qualcosa che seguita a sopprimermi.
Liberare la voce, è rimedio. Tossire,
prima che il metamero della parola differenzi, lo spirito
che deprime la conversazione. Come
per le folaghe correre sull’acqua per l’involo:
un miracolo di velocità degli atomi mette solidità
nel sollievo.
Ma bisogna fare in fretta, approssimando:
il pensiero è un capodoglio che disorienta
a rotta di collo.

Ora, che importa di come stanno
le cose – tutte, non solo i buchi che lasciano –
quando fanno per scomparire.

28 novembre 2011

Dal libro dei vivi ignari di sè

Un soffio a parole - elab. grafica ferdigiordano2011




















Si sta così tanti dov’è la terra
che spesso mi appaio all’argilla.
Direi peggio: acqua in ferma.

Oggi è liquido da diverse settimane, ormai.
Amo e odio e accavallo le gambe
come un fiume senza riflessi:
anse laddove le ginocchia
espongono ciottoli le rotule.

Pensare un ché diverso, allora. Magari
la frescura che ogni fiamma porta in sé
- ho coscienza che una passione
sia il vero muscolo del calendario. Intorno,
la supremazia del miracolo.

Posto che sia quel fuoco
da spegnere per intero, ditemi se non deve tremare
l’anima che prima della bocca
va per parlare al suo angolo di cottura,

risalire dalla cenere a
tutte le facce possibili precedenti la folla.



26 novembre 2011

Continuità si direbbe

Anima a colori - elab. grafica ferdigiordano2011



Fuori dal vuoto è la stessa
materia che illustra l’annuario:
continuità, si direbbe; e tu,
fondo del viaggio, chiedi chi
disegna le mappe che svoltano
dalla terra, che integrano
i territori esterni alle sagome dei migrati

e me lo chiedi dalle orbite estenuate
nel teschio incline all’ossario.

Così tanto ti esponi al miracolo
che un fuoco basso di voci
restituisce faville di aggettivi
più sicuri, rituali tra date.

Ti spio, dunque, con il rimedio dell’udito
per la grazia di manipolare il seguito
a mente.

(Ogni tanto ti porterò dell’aria
se sarai stanco di trattere il fiato).

(Peppe P. - date)


24 novembre 2011

Primancòra

(A Gil - riel. Ferdigiordano)

















Già il futuro benedetto
il tuo annuario di semente
l’alchimia del polso scosso che ti lascia cadere
in tutte le terre consacrate alla bufera

- mie terre tue terre tutte le terre -
madri ed aperte, feconde come l’ombra
che somma le vicissitudini e informa l’occhio

dov'è la raccolta.

Ma primancòra che conoscessi la tua polpa
e il suo miele, prima che l’anima
visitasse il tuo podere di nervi
c’erano piume sullo specchio
con i riflessi pronti.

23 novembre 2011

Questa città


Triste - e mi sorride -
l’angelo del posto mentre fissa
questo fuoco costiero
che prende ali dalla rena.

Le si imputa un’epopea mai sorta
come se il Tirreno non potesse altra epica
che i mori morti, la scimitarra dello sbarco e lo stupro
dell’acqua impagabile.
Ma io adoro queste cosce, di ginestra,
che mettono sul ventre una tormenta gialla
calmata venendo a volte saracene.

Questa città disancora la lingua immediata,
l’affonda e ne fonda diverse
mentre i muri addossano alle porte
il secco del collocamento.

Questa città con  le vele di asfalto
spinge l’orizzonte allo zigomo del mondo
un sorriso, certo: è il mio paese
che vuota il mare
se da sotto la spiaggia si alza.

22 novembre 2011

Ti accompagno al freddo



Già il clamore dei cartelli
indica la sopravvivenza. Qualcosa qualcuno
usa il silenzio, percorre il naufragio
dal lato muto del relitto. Ma nulla ci solleva
dalla secca se non la voce. Niente affonda
in questo stato, qualcuno qualcosa
urla. Inutilmente: anneghiamo in parole esemplari:
il flusso fa da salvagente. Qualcosa qualcuno
urla.

In pratica, il suono è un separatore: differenzia
la supremazia dei verbi.

Che se ne parli, dunque,
dell’esilio dall’abbraccio! 

C’è un dovere che inorridisce i polsi, 
li lascia tronchi.
In fondo, le mani distinguono il vuoto.
Allo sterno coagula l’udito, ma restituisce
un grumo inascoltato, una sillaba confusa.
Appare avido nella scena
il nudo: la devasta.

Qualcuno qualcosa muta in tempo, 

bilancia la resa.