28 novembre 2011

Dal libro dei vivi ignari di sè

Un soffio a parole - elab. grafica ferdigiordano2011




















Si sta così tanti dov’è la terra
che spesso mi appaio all’argilla.
Direi peggio: acqua in ferma.

Oggi è liquido da diverse settimane, ormai.
Amo e odio e accavallo le gambe
come un fiume senza riflessi:
anse laddove le ginocchia
espongono ciottoli le rotule.

Pensare un ché diverso, allora. Magari
la frescura che ogni fiamma porta in sé
- ho coscienza che una passione
sia il vero muscolo del calendario. Intorno,
la supremazia del miracolo.

Posto che sia quel fuoco
da spegnere per intero, ditemi se non deve tremare
l’anima che prima della bocca
va per parlare al suo angolo di cottura,

risalire dalla cenere a
tutte le facce possibili precedenti la folla.



26 novembre 2011

Continuità si direbbe

Anima a colori - elab. grafica ferdigiordano2011



Fuori dal vuoto è la stessa
materia che illustra l’annuario:
continuità, si direbbe; e tu,
fondo del viaggio, chiedi chi
disegna le mappe che svoltano
dalla terra, che integrano
i territori esterni alle sagome dei migrati

e me lo chiedi dalle orbite estenuate
nel teschio incline all’ossario.

Così tanto ti esponi al miracolo
che un fuoco basso di voci
restituisce faville di aggettivi
più sicuri, rituali tra date.

Ti spio, dunque, con il rimedio dell’udito
per la grazia di manipolare il seguito
a mente.

(Ogni tanto ti porterò dell’aria
se sarai stanco di trattere il fiato).

(Peppe P. - date)


24 novembre 2011

Primancòra

(A Gil - riel. Ferdigiordano)

















Già il futuro benedetto
il tuo annuario di semente
l’alchimia del polso scosso che ti lascia cadere
in tutte le terre consacrate alla bufera

- mie terre tue terre tutte le terre -
madri ed aperte, feconde come l’ombra
che somma le vicissitudini e informa l’occhio

dov'è la raccolta.

Ma primancòra che conoscessi la tua polpa
e il suo miele, prima che l’anima
visitasse il tuo podere di nervi
c’erano piume sullo specchio
con i riflessi pronti.

23 novembre 2011

Questa città


Triste - e mi sorride -
l’angelo del posto mentre fissa
questo fuoco costiero
che prende ali dalla rena.

Le si imputa un’epopea mai sorta
come se il Tirreno non potesse altra epica
che i mori morti, la scimitarra dello sbarco e lo stupro
dell’acqua impagabile.
Ma io adoro queste cosce, di ginestra,
che mettono sul ventre una tormenta gialla
calmata venendo a volte saracene.

Questa città disancora la lingua immediata,
l’affonda e ne fonda diverse
mentre i muri addossano alle porte
il secco del collocamento.

Questa città con  le vele di asfalto
spinge l’orizzonte allo zigomo del mondo
un sorriso, certo: è il mio paese
che vuota il mare
se da sotto la spiaggia si alza.

22 novembre 2011

Ti accompagno al freddo



Già il clamore dei cartelli
indica la sopravvivenza. Qualcosa qualcuno
usa il silenzio, percorre il naufragio
dal lato muto del relitto. Ma nulla ci solleva
dalla secca se non la voce. Niente affonda
in questo stato, qualcuno qualcosa
urla. Inutilmente: anneghiamo in parole esemplari:
il flusso fa da salvagente. Qualcosa qualcuno
urla.

In pratica, il suono è un separatore: differenzia
la supremazia dei verbi.

Che se ne parli, dunque,
dell’esilio dall’abbraccio! 

C’è un dovere che inorridisce i polsi, 
li lascia tronchi.
In fondo, le mani distinguono il vuoto.
Allo sterno coagula l’udito, ma restituisce
un grumo inascoltato, una sillaba confusa.
Appare avido nella scena
il nudo: la devasta.

Qualcuno qualcosa muta in tempo, 

bilancia la resa.