28 ottobre 2012
Il luogo in cui prende forma il corpo
Salerno è fuori da questa stanza. In questa
stanza il mondo intero non vi entrerebbe.
Dio sì. Forse già c’è come sera, come legno.
Benchè io mi distenda, un mistero
allerta tutto intero la bocca del vetro:
qualsiasi imposta sbatta, non c’è vento e trema
la verità del mio piccolo mondo
nella piazza che lo circonda.
La piazza che include la funzione
di pianeta dei bus che non mi prendono.
Eccolo quindi un perseverante altolocato: dio.
Non nasce, non diventa, non si preoccupa di come
appare: davvero? Davvero. Prende forma quando
esplode la delusione. Sintomo evidente
la solitudine della pietra. Dalla pietra, lui se n’esce
con nuove costruzioni, a parole
frammenti del sé - come rinvenimento, attenzione.
Si capisce
che è edificante perché progetta pilastri
con carpenterie umane. Si riconosce
perché non bussa, ma inchioda, virilmente.
Un ermafrodita misogino – si noti la desinenza disputante.
Deduco
che una doppia mandata alle tempie
non serva. Di fatto, bevo come cola il tempo.
L’orologio misura il polso, lì appena appena
dà una mano sapere l’ora.
Bevo e saprò che le vene ignare
non hanno abbastanza fegato. Cadranno colpite
durante il passaggio dalla carne all’argilla.
Né la carne né l’argilla hanno presenza di spirito:
se il fiume le porta via, dicono acqua
acqua da non credere.
Dei miei amici amati nella notte ad una costa
Daniele ha la congettura del planisferio
uguale alla dimestichezza con la calma: alza
la prima ora notturna come un’isola racconta
l’arcipelago sommerso dal mare, noto solo
ai cartografi iniziati a misure sommerse.
Entro in gioco come apprendista ludico
sulla base del mondo.
Lui svela il fondo disponendo argomenti: argomenti
in incognito che non mettono in luce
una baia che da tempo ignoro.
Franca, compasso di letizia, cerchia le parole
con legamenti d’aria, turbine del sorriso, espone
il dirupo della gola sulla costa fonda perché
metta radici sul ciglio il giglio immacolato
del respiro. Io respiro quell’atmosfera
da lucernaio aperto, senza obliquità
in cui gli occhi permangono fessure.
Ha un’ansia complessa di gestire il sonno
mentre i testi la scoprono, si manifestano
tra capelli lucidi e cuscino ebbro: quando il quadro
della pagina - ripiegato a dovere, incitato a navigare -
diventa un traghetto e nessuno come lei
sa prenderli a nuoto.
Maiori accosta la sua ultima porta, tira via
le ombre mobili, mantiene il cordoglio
nel bacio di un saluto che si valuta al ritorno.
Chiunque osservi ora Nanà abbaiare, capisce
come la fedeltà dei cani sia un battello
che affonderebbe se affondasse il suo capitano.
Ma che importa? Altro è una libertà d’incontro
che affiora nella baia come un faro a colori.
Rame da mare
Dal fondo si solleva rame. Tonico appena
incontra il raggio. Si esalta la nudità
tumida, non regala niente, nemmeno si vende.
Intorno cadono promesse brune, promesse e gocce torride.
Ha una goletta in bocca, o la bocca è una filibusta rossa
o una varea da cui gravitano impiccati avorio.
Esuberante il pube, almeno quanto sadico
appare il gluteo nell’intarsio di granelli lucenti
e spogliato di un lembo: incontenibile
frusta le tempie perché viene da mare.
Mi incanta il gesto. E dico gesto
quell’afa, quell’afa pagata a gocce, nell’alveo
del respiro che
rende lente le dita mentre solleva il lembo
ma consente qualsiasi fronda incredula
sulla pelle: sono così lente da sapere di invito
di gesto di afa di fronda che concede l’ingresso
e lì entrano subito gli occhi come spettri in catene
perchè viene da mare, rame
di bell’aspetto.
22 agosto 2012
Enzo A. (Truciolo)
Enzo Avallone (Truciolo) |
cinedo nella luce catastrofica
che risparmia la grazia dell’ombra
al debole debole nervo:
nervo enfatico del femore o del dorso
crollato come un tulipano morente
che muore definitivamente.
Oro nei boccoli e saggina per le pupille
indagate dal vizio, oro l’entrechat e alto il salto
del gluteo avvenente
oro ovunque si riapra il tuo respiro
oro le narici oro le labbra oro le ossa perse
per l’acciaio bucato e sottile
strazio dal gomito in su.
18 agosto 2012
Il barcaiolo nell’equivalenza della darsena
Pescatore (elab. Ferdigiordano) |
Gli scafi leggeri mostrano vigore nel ballo.
Con la stessa pendolarità delle increspature
dimenano le chiglie.
Un tot di piccole creature
Un tot di piccole creature
disassembla il fondo e porta via pezzi
di chiarore.
Il riflesso
dell’uomo a poppa è nell’asse istintivo
Il riflesso
dell’uomo a poppa è nell’asse istintivo
della lenza. La lenza insinua un taglio
nell’ombra complessiva.
nell’ombra complessiva.
L’ombra, come uno scafandro,
tiene conto della pressione esterna.
E’ possibile
E’ possibile
vedere uccelli a vela volare da fermi.
Le braccia d’acqua hanno tendini verdi,
sciolti e morbidi. Se fossero solo alghe
lui non si massaggerebbe le braccia.
La vera figura del corpo
bilancia i valori per lato. Immagino
non si accorga dell’ora
lui non si massaggerebbe le braccia.
La vera figura del corpo
bilancia i valori per lato. Immagino
non si accorga dell’ora
per questo l’abisso dà uno strattone
- sollecita più che altro -, chiama a casa.
9 luglio 2012
Pacifico, Padre (*)
"Qualsiasi cosa posta
in luce
se possiede la grazia
dello spirito
per la intuizione dei
limiti
tende a rientrare
nell’ombra."
Questo mi dicevi reverendo uomo,
bianco come un dio di collina, né altissimo né
nevoso, nemmeno avvertissi il declino
comprensibile dato nella tua immacolata concezione.
E questo (io ora so) è delle persone
prima della estrema ustione.
Poi mi chiedevi il manifesto della pentecoste:
"ma come faccio a disegnare
quanto
nessuno vede?"
Un serafino canuto, un pulpito, una colomba, il cartellone,
la mano insicura, la mente vuota, un disegnatore
stentato, per crucem ad lucem
via lucis dell’ombra.
(*)Taverna Paradiso, date.
5 luglio 2012
Nkoloso, Edward Makuka
perché
proprio all’Africa si mostra lattea
come
nei sogni infantili maculati dalle apnee
l’eterna
unzione del risveglio
materno.
We’re going to Mars: pensò
che il nero sul pianeta
rosso ci stava bene con
che il nero sul pianeta
rosso ci stava bene con
quella
matta di ragazza
dismessa
e gravida
che
fece un figlio mentre rotolava
dall’altopiano
nel bidone meno aereo
che
c’era, e non si sa bene
in
quale volo trovò l’uccello
che
le ammattì anche il ventre.
Dalla
savana guardò di sbieco gli USA,
l’URSS, tutte le confederazioni
dei
rigattieri dell’UNESCO. Chiese quanto
serviva
per
il programma spaziale da Lusaka
al
futuro.
Piantò
le lance negli elmetti inglesi,
convinse
che bastavano quei caschi
in
atmosfera zero e la pelle scura
per
lo sbalzo dal sole all’ombra,
preparò
le latte per la fusoliera
e
l’elastico per il lancio,
ma
non partì, né lui né gli adepti
del
rame.
I have a dream, diceva un anno dopo MLK
(che
in cielo ci andò davvero e ancora c’è)
mentre
lui rideva al corso spaziale
sullo
Zambesi:
spero per lui che if he has realized
the dream was the
natural way.
1 luglio 2012
L’esenzione dall’oceano
28 giugno 2012
Viaggio inesistente
Foto dal web |
Certo,
amico, vorrei viaggiare; ugualmente
ho
paura del metallo spinto
dal
calcolo indescrivibile.
Mi
restano i vascelli. Altro metallo supponente.
Da
come si regge quell’anfora di vetro
che
pare una luna aperta in testa,
l’avventura
matura equilibrio
solo
nei colossi, ed è lenta.
Ma
se potessi frequentare
le
vene della terra, mi sposterei
di
città in città, farei la fila al binario.
Il
ticket come una profezia di vicoli
ciechi
che mi vedono passare.
27 giugno 2012
O’e
La tua terra è leggera, senza sforzo
evade la lingua che sostiene.
Un lucernaio verde irraggia
il limbo saliente
sopra i piedi degli spiriti.
Quando canti
l’inesauribile radice esprime
la distanza scoperta.
25 giugno 2012
Donna persa
Quasi non fosse un lago azzurro
entra più vivo della rabbia
il cielo nel tuo occhio di pervinca
come sollecita il mese antistante
il mare.
Il mare che viene da ogni direzione
da me ti prende
un sonno profondo senza alcuna materia
tranne l’epoca in cui i pesci calzavano pinne
e senza fogli noi eravamo.
Oggi non saprei dire
a quante bracciate da te
mi hai preso di sabbia.
20 giugno 2012
Chi vede sente
Questo
paese non compare dalle mappe.
E’
il dito del continente che lo indica
a
pezzi. Nessuno teme la Nazione
dispersa.
Dalla veduta aerea annoto solo
lo
scheletro esibirsi.
Sta
per uscire dal corpo
e
vorrà coinvolgere i denti. Darà morsi
fintantoche
la scossa apra alla veglia.
*
* *
Forse
dormire d’estate inietta
il
sudore nei sogni. L’emostasi del
maestrale
forma la costa nei capelli
e
viene la sabbia a raccontarmi il telo.
Forse
l’ombra ruota unta del tuo corpo,
stende
l’olio e dirai qualcosa. Sta di fatto
che
goccia a goccia, in mare compare
una
strada percorsa da negri.
In
ogni caso siamo completi
a
volere apparire neri se il nero ci chiederà
quando
verrà la neve per bene.
*
* *
Il
Sud ha i piedi roventi. Si vorrebbe alzare
la
colonna montuosa. E scuote e scuote il dorso
picchia
i muri. Li abbatte con un martello
provvisto
di lenti cupe, è cieco.
Questo
paese non si solleva se prima
non
atterra. Il timore è che le ossa restino
sotto
la frana dell’euro o, morsa,
scarnificata
dalla sua stessa bocca,
la
stella della b’orsa minore
non sposti il Nord.
*
* *
Sulla
sensatezza della partenza avrei da dirti
ancora
qualcosa. L’alba di ogni notte
è
la sera, ossia: quando tramonta
il
corpo si alza il mistero
come
dovere.
E
tu vieni, quasi attratta, da un perché
i
fianchi stanno alti sulla terra
e
scossi
ondulati
a regime dagli occhi
dalla
parvenza di femmina
aperta
dalla pelle.
*
* *
Quindi
si vive lo stento. Portatevi
al
legno traditi dal cemento. Che pensate
dei
serpenti? Che cosa chiedete
dal
marciapiede alla camera da letto?
Non
ho conosciuto i miei nonni ma
oggi
ne vedo a bizzeffe bruciare i profeti.
Questo
dice dei tradimenti. Mio nonno
era
un cacciatore di tonni. Uno dei due:
Cassio
o Bruto, che affonda il gancio
nelle
carni in amore. La mattanza oggi
era
meno grave ieri. Mi dice: da lontano si prende quel
che
più serve. Nei Marines semper fidelis
è
ciò che portò mio padre a Dachau
nella
parte salva, alle fabbriche.
Ora
un nome lo conservo
e
nel mese più mariano del mondo
lo
sento muto, semper fidelis l’eco.
*
* *
Ora
tu prendi il sole. Il sole ti rende coraggio.
In
questo senso gli amanti fanno
l’impero
che nessuno vede. Si legano
adagio
i confini di un territorio di pelli.
Umide
e lucenti, perché sia tu sia il sole
poggiate
i capelli nel Tirreno.
Vorrei
sentirti parlare ancora del figlio
e
che il confine cadesse
prima
che l’angelo mostri il muscolo
del
sollevamento. Non ho che dirti
del
battito, solo che accelera quando
sanguino. O, per
il
largo spazio che si è fatto in casa ai pareri,
qualcuno
viene a dirmi: sai, gode ancora.
Questo
sarebbe un rumore d’inferno.
19 giugno 2012
Scattering
Rayleigh chiese ed ottenne il colore del cielo.
Aprì una finestra. La finestra è esempio
di entratura nel panorama. Ne spiega il perimetro.
Il suo davanzale è un orizzonte concreto
su cui poggiare occhi e braccia
prima del mondo intero.
Rayleigh era spazioso come il suo scrittoio
curatore della fisica nel portamento.
Vide il bianco ritrarre la nebbia
fino all’ombrello. Le onde
in quegli spessori, fanno le idee
di dio corporate in materia.
Rayleigh, chiedo cosa c’entri il condotto
scoperto - turba di scarico, malanimo,
prisma divisore -
con la dispersione delle parole,
nondimeno perché mi arrovello.
La lingua che lucida ore
senza riflettere.
18 giugno 2012
Dotate le mani
Sontuosa
l’affabulazione del gluteo:
convince chi le va dietro senza chiedersi
perché
dire amore è poi balbettare
in
qualche caso oh sì dai.
Da
qui inizia il deserto, nel senso di richiami,
appostamenti.
C’è, uno o una, libertà oppressa
che prende le briglie dei sentimenti.
Era
dicembre quando: pensi serva
vedersi ancora?
Avevi
un alfabeto incerto, come di chi teme
la
turbolenza dell’affetto. Detto,
ripeto,
da cammelliere che ha perso la stella
nell’ultima
tenda.
Una
donna può apparire scoperta
se all’alba svela il segreto.
se all’alba svela il segreto.
26 febbraio 2012
Della volta al molo
idea grafica: ferdigiordano2012 |
Per come cade sul fondo il rotondo scheletro della luna
sembra incerta la tenuta del molo.
Nastri, i suoi lamenti, toccano terra
sottovento: una frangia d’alghe
in qualche modo alza la fronte, acciuffa
il mistero del porto; legittima i paralleli
la cruda mattanza di spume
sull’asse del vetro; non gli sposta un ma.
Si strappano senza urla
le creste mobili dei marinai
nel cupo blu che regge l’aureola
dove fa fede.
E’ una misura rigida il molo: mi distanzia
dalla luna il debito insostenibile di un grado
per lente sonnolenze.
per lente sonnolenze.
14 gennaio 2012
Chiunque si muova
I
Ormai è enfasi da possesso; soprattutto, la moneta
è una macina! Se ne avrebbe olio, pare. Non vergine,
non fluido, ma inappuntabile untore. Quale
castigo chiederemo il pane: sarà preso dal giusto
indietro, e sarà preso nei covi, oltretutto lievitato.
Avremo remore da gigli, familiarità da squali
e orgoglio come muri a secco: le malte
saranno innocenti in tutte le frane.
II
Così tratteniamo le spese. Le risorse rientrano
nelle braccia. Quasi un obbligo questo doverle
fermare con i nervi nel vento. Il buon vento, per pochi,
è la duna che decide il deserto. In tali altri,
anzi, in tutti gli altri solleva la paura - grossolana -
che nemmeno il sangue sia ingranaggio puro. Che, infine,
la sabbia è un uomo, e diventa comunque
un lavoro inutile costruirci sopra. L’anima è
una camera con vista nel posto più perso della terra:
i capelli.
III
In questo soggiorno
vedo ombre che cercano nel nero
la certezza della loro fonte. Passatempo,
piano di rieducazione. Un piano americano,
un marshall di ripresa o una panoramica ERP.
Risolviamo i nomi, dissolviamo i luoghi. Fa’ che sia
nudo l’urlo quando asciuga le parole. Fallo proprio tu
che conosci il verbo fare in fretta e fuga.
Dice qualcuno. Non è possibile tenere a freno
la soglia dove comincia la fuga. Inventati la nomea,
la circolazione di voci. Inseguile
per la più dura notte che ci ha dato
l’insolvibilità della sua risposta.
IV
Da cosa a cosa passerebbe il sole.
Ormai è enfasi da possesso; soprattutto, la moneta
è una macina! Se ne avrebbe olio, pare. Non vergine,
non fluido, ma inappuntabile untore. Quale
castigo chiederemo il pane: sarà preso dal giusto
indietro, e sarà preso nei covi, oltretutto lievitato.
Avremo remore da gigli, familiarità da squali
e orgoglio come muri a secco: le malte
saranno innocenti in tutte le frane.
II
Così tratteniamo le spese. Le risorse rientrano
nelle braccia. Quasi un obbligo questo doverle
fermare con i nervi nel vento. Il buon vento, per pochi,
è la duna che decide il deserto. In tali altri,
anzi, in tutti gli altri solleva la paura - grossolana -
che nemmeno il sangue sia ingranaggio puro. Che, infine,
la sabbia è un uomo, e diventa comunque
un lavoro inutile costruirci sopra. L’anima è
una camera con vista nel posto più perso della terra:
i capelli.
III
In questo soggiorno
vedo ombre che cercano nel nero
la certezza della loro fonte. Passatempo,
piano di rieducazione. Un piano americano,
un marshall di ripresa o una panoramica ERP.
Risolviamo i nomi, dissolviamo i luoghi. Fa’ che sia
nudo l’urlo quando asciuga le parole. Fallo proprio tu
che conosci il verbo fare in fretta e fuga.
Dice qualcuno. Non è possibile tenere a freno
la soglia dove comincia la fuga. Inventati la nomea,
la circolazione di voci. Inseguile
per la più dura notte che ci ha dato
l’insolvibilità della sua risposta.
IV
Da cosa a cosa passerebbe il sole.
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