14 gennaio 2012

Chiunque si muova

I
Ormai è enfasi da possesso; soprattutto, la moneta
è una macina! Se ne avrebbe olio, pare. Non vergine,
non fluido, ma inappuntabile untore. Quale
castigo chiederemo il pane: sarà preso dal giusto
indietro, e sarà preso nei covi, oltretutto lievitato.
Avremo remore da gigli, familiarità da squali
e orgoglio come muri a secco: le malte
saranno innocenti in tutte le frane.

II
Così tratteniamo le spese. Le risorse rientrano
nelle braccia. Quasi un obbligo questo doverle
fermare con i nervi nel vento. Il buon vento, per pochi,
è la duna che decide il deserto. In tali altri,
anzi, in tutti gli altri solleva la paura - grossolana -
che nemmeno il sangue sia ingranaggio puro. Che, infine,
la sabbia è un uomo, e diventa comunque
un lavoro inutile costruirci sopra. L’anima è
una camera con vista nel posto più perso della terra:
i capelli.

III
In questo soggiorno
vedo ombre che cercano nel nero
la certezza della loro fonte. Passatempo,
piano di rieducazione. Un piano americano,
un marshall di ripresa o una panoramica ERP.
Risolviamo i nomi, dissolviamo i luoghi. Fa’ che sia
nudo l’urlo quando asciuga le parole. Fallo proprio tu
che conosci il verbo fare in fretta e fuga.
Dice qualcuno. Non è possibile tenere a freno
la soglia dove comincia la fuga. Inventati la nomea,
la circolazione di voci. Inseguile
per la più dura notte che ci ha dato
l’insolvibilità della sua risposta.

IV
Da cosa a cosa passerebbe il sole.

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