28 ottobre 2012

Dei miei amici amati nella notte ad una costa










Daniele ha la congettura del planisferio
uguale alla dimestichezza con la calma: alza
la prima ora notturna come un’isola racconta
l’arcipelago sommerso dal mare, noto solo
ai cartografi iniziati a misure sommerse.
Entro in gioco come apprendista ludico
sulla base del mondo.
Lui svela il fondo disponendo argomenti: argomenti
in incognito che non mettono in luce
una baia che da tempo ignoro.

Franca, compasso di letizia, cerchia le parole
con legamenti d’aria, turbine del sorriso, espone
il dirupo della gola sulla costa fonda perché
metta radici sul ciglio il giglio immacolato
del respiro. Io respiro quell’atmosfera
da lucernaio aperto, senza obliquità
in cui gli occhi permangono fessure.
Ha un’ansia complessa di gestire il sonno
mentre i testi la scoprono, si manifestano
tra capelli lucidi e cuscino ebbro: quando il quadro
della pagina - ripiegato a dovere, incitato a navigare -
diventa un traghetto e nessuno come lei
sa prenderli a nuoto.

Maiori accosta la sua ultima porta, tira via
le ombre mobili, mantiene il cordoglio
nel bacio di un saluto che si valuta al ritorno.
Chiunque osservi ora Nanà abbaiare, capisce
come la fedeltà dei cani sia un battello
che affonderebbe se affondasse il suo capitano.

Ma che importa? Altro è una libertà d’incontro
che affiora nella baia come un faro a colori.

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