10 aprile 2014

Della lingua contigua



Sono tornato da Eliot. Per consuetudine remo a parole.
Lascio che lo scafo dell’occhio sopravvenga all’onda
dal fondo della mia gola.
Detto così, anche T.S. mi guarda torvo.
Siamo gli uomini impagliati, sbotta, e non so dargli torto!
In quella stessa stanza, strofe da gioco dialettico,
lui siede - Forza paralizzata, gesto privo di moto. Vivienne
serve il thè con attitude en croisé, credo,
ma né io né loro sappiamo che lei ci lascerà,
o, meglio, la morte ti conduce in una camera oscura
e ti presenta i tuoi fantasmi che la annunciano,
quindi non possiamo parlare d’altro che delle lordure
della guerra, della terribile strategia dei gas diventati
più frequenti delle rivoltelle.

T.S., nel suo gilet grigio, osserva tutta la Terra.
Laggiù gli occhi sono / Luce di sole su una colonna infranta.
La Terra, che vediamo farsi più inconsueta, più deserta
stivata nella cantina della galassia, sembra avere piaghe
nelle zone ocra. Da qualche parte un sonoro metallico
avverte che per terminare le guerre
occorre senza dubbio prima cominciarle.
Manteniamo il silenzio dove il vetro manca alla finestra:
ci pare di capire quanta trasparenza è stata tolta.
In quest’ultimo dei luoghi d’incontro
noi brancoliamo insieme / Evitiamo di parlare.

Fra la potenza
E l’esistenza
Fra l’essenza
E la discendenza
Cade l’Ombra

A questo punto ci prende la sera e mano a mano
che l’epica del secolo è la notte in un fragore di colpi,
Vivienne rovescia i suoi occhi scuri con la languidezza
dei partenti. Sulla soglia della sua miniera T.S. recita:
È questo il modo in cui finisce il mondo
non già con uno schianto ma con un piagnisteo.(*)
Mi agito come un codardo trema e ti ammiro l’anima
convalescente.







(*)In corsivo versi tratti da: The hollow men di T.S.Eliot – trad. R. Sanesi (I grnadi libri, Garzanti Ed.)