26 marzo 2016

Il regalo del cane


 
Immagine dal web

Oh-o, mi accorgo di non capire il mondo
(intendo, per mondo, giovani al sole; in piedi, suppongo).
Il traffico, dove c’è, usa il clacson, che è più facile
simulare a voce. Qui tutti danno indicazioni 
in una lingua senza mezze misure, non uno
comunica informazioni vitali: come dire se
ci hanno abbandonati, disillusi, resi al suolo
perché non si creino ombre fra di noi.
Io preferisco i segnali di fumo: cerchi soffiati
con la lingua a stantuffo. Proprio questa mi brucia.
Chi guarda la posa dei cavi in fibra ottica è l’occhio
del vecchio Antonio che borbotta: si fa tanto
per dire progresso, ma il badile urta dove passa
la domanda: come stai?, e la spezza da farla gracchiare.
Non ci sono rane sulle sponde dell’Irno. Cemento
e pietra viva, ben disposta. Le pietre se fossero rane
lascerebbero questa città (e la lasciano per andare
al mare, cosa che non fanno le rane). Niente rane,
quindi, vi dispiace?, il telefono gracchia (la suoneria
somiglia al badile, dall’altra parte la domanda si spezza).
Una sola panchina era il polmone di quattro individui;
due, diventavano lo stadio; tre, le figlie del re
che li avevano sposati. Qualcun altro gode
di una pensioncina che appena contiene
dieci chiamate che non sa fare
dal cellulare avuto in regalo.
Da chi? Dai figli, o dai figli dei figli senza rane.
Antonio è fortunato: è stato legato ad un cane.
E il cane se lo porta dietro come un gioiello solitario.



22 marzo 2016

All’erta per mio figlio




Fai manovalanza, usa un arnese.
Prendi in dote ieri e portalo a domani.
e domani poi lascialo, che è già passato.
Non legarti al verde, né al calendario:
se ti rifiuta una data, coinvolgi l’arnese.
Taglia un giunco, prima però assicurati
che sia elastico; taglia il giunco alla base.
Taglialo per la lunghezza di un braccio.
Scava un piccolo buco nel terreno.
Fa’ che sia profondo un palmo. Interra
il giunco che hai preparato. Intorno
disegna un cerchio, non importa sia
preciso. Traccia i punti cardinali,
non importa siano quattro – devono
solo coincidere all’arco solare.
L’hai fatto? Bene. Prenditi là il tempo
che ti spetta, scardina l’anagrafe.
Usa gli arnesi che hai. Quando avrai finito
o ti riterrai soddisfatto del risultato
dai un calcio a tutto e cancella il fatto.
Se avrai eseguito queste indicazioni
avrò messo al mondo un credo
e tu un soldato, ma nessuno dei due
avrà provato la libertà di pensare altro.



Immagine dal web

13 marzo 2016

Poi usciamo

Immagini dal web

Alla fine di questa frase, comincerà la pioggia.
All’orlo della pioggia, una vela.
Mappa del nuovo Mondo – Derek Wallcot


Guardo in alto e vedo poco oltre il sole
ma so che lassù ci sono cose incensurabili,
tanto determinate a muoversi da sfuggire qui.
Non alzo un dito per indicarle come si fa quando
un segno piove improvviso e viene reso stampabile
in una forma più che approssimata: riconoscibile.
Raccordo punti diversi per una figura incompiuta, unisco
quello splendore antico di luci alle date attuali
nelle quali tutto non è più così. Nemmeno osservare
è contemporaneo. E peggio va
quando l’universo sposta la sedia. Per esempio:
c’è un campo e nel campo balle di fieno nato lì,
compiutamente da una parte. Trebbiato
da macchine rumorose, il grano emula le costellazioni
battendosi bene: “Ecco, noi siamo la pula; ecco noi siamo
la paglia; noi siamo quello che viene da terra,
poi ne usciamo se basta,” annunci
con il tono greve dell’argilla fondatrice.
Segui un piano prestabilito: porti in tavola pane e
lo liberi, poggi l’acqua sul libro
della legge e consenti un solo bicchiere.
Mi fai capire la sete; e il sangue, dopo un crocicchio,
circola scuro e minuzioso (come un messaggero
che torna con la risposta inattesa, la testa in mano,
come qualsiasi altro discorso divenuto lugubre di colpo).


8 marzo 2016

Somiglia in genere


 
Immagine dal Web

Sono entrato nella rosa. Non potevo
farne a meno, ma avrei fatto di più: mi sarei
radicato lì, al piede del suo calice conteso tra
convolvolo e verbena, sopravvissuto alla muffa.
È stato facile: una rosa ha un solo pensiero
di seta: succede a se stessa sul trono, succede
che appena tempera l’aria il profumo la incoroni.
Mi darà fragranza, sarà accogliente, tenera,
le restituisco cura, resistenza e il tropico in
difesa dal gelo. Il fiore più fiore che vedo
somiglia alla bocca che intima appare al piacere
e si dona come gesto di grazia allo stelo,
alla larga dal vizio e dal tempo, una grazia solerte
per il dettaglio dei corpi intromessi, a resa.
Allora vi entro, rosa appena dischiusa, rosa
della prima luce, rosa per l’umida fioritura
che la imbroglia in genere.