8 aprile 2016

Quell’anno venni ai primi di agosto


 
Immagine dal web

Ci ritrovammo all’improvviso su quel concetto
di convalescenza del pene, che era per noi come
i denti cariati agli squali. Non è lo strumento,
dicevi, quanto la residenza del desiderio, chiusa
dal perno dell’ansia, serrato in senso orario già
prima del risveglio, freddo e puntuale, da incubo
probabilmente –  se devi essere l’uomo in tal senso.
Per chiamare casa fu necessario cambiare strada,
metterci più in favore dell’incrocio tra numeri
e celle. La sua voce è sempre stata un cilindro 
dal tempo in cui il coniglio appariva tenero.

L’eco fallisce l’ascolto dei luoghi, attraversando
i cavi, corpi o stanze, finché la risonanza scema.
Farla così complicata è un azzardo. Immagina 
in cucina. Sarebbe altrettanto piatto l’abbraccio?
Posata sul tavolo dà motivi alla bocca: persino
meglio per il gusto le candele che intingono l’aria
di nerofumo capaci di ridurre gli odori a luci.

I lampioni si accendono intorno alle otto, le ombre
non smettono mai di far apparire le cose più truci.    
Sostenevi ci fosse bisogno di tanta manutenzione.
Come puoi ricevere bene il segnale di fronte
se in piena estate il sudore allontana i membri
dalla riunione? Intanto, entravamo in quel basso chiarore.
Dal golfo si levavano le masse d’aria che danno corso
non tanto al via vai, quanto all’esposizione di secche
ossature da mare. Dove le mani cominciano il lavoro
dei profili, è probabile che la bellezza assuma
contorni ad occhi chiusi. Ne parlammo fino alla piazza,
che è l’unico posto in cui non mettere l’intimo
collegato. Venni ai primi di agosto, quell’anno.



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