20 febbraio 2017

Un bastimento, io penso




La macchina sovrumana del tirreno cuce
ad ondate concitate tutte le diagonali della luce.
Il maestrale appunta le verticalità più rigide che trova
e stupidamente le riduce in spiaggia.
Un bastimento, o io, martire del sale e del fondo,
prua dura, affilata e volta al porto, affronta il vento
con la blasfemia dell’ormeggio.

Di due cormorani, uno confronta le ali alle paratie
di ferro, scopre in tal modo le parole e i chiodi,
la ruggine e la catena; una svolta leggera, rapida
sulla noncuranza del mare, mi suggerisce battute a volo.
La prima è che il bastimento, da trent’anni almeno, affronta
un viaggio fino ai tropici; il mio pensiero vi arriva solo
quando lo accoglie in sogno. Intanto il promontorio carica
sul ponte una nuvola colore dell’olio. Sottocoperta, ripara
la costa dalle piogge, oppure sotto le viscere del cielo
cedono sogni tipici, ossia balle di emozioni da nessun porto.

O io o quel bastimento, turbina accesa, fumi
da ciminiera, prua nel vento, tanto vento: vento se
fiondiamo la memoria come acab l’incubo fuoribondo.
I marinai nello stesso momento in cui guardano terra
aspergono il mare con la lingua di dove vengono,
e possono farlo perché intorno c’è adeguato silenzio.
Sul bastimento, i mozzi hanno scialuppe ai piedi
per camminare fino ai moli. Che vi resta
del periplo dei continenti?, come vi prende la costa?
Avete toccato a lungo la gobba degli oceani
e non ne venne fortuna, serve ora un salvagente?

Un bastimento, io penso.


Immagine dal web

1 febbraio 2017

Qui sta come




Le proiezioni parlano da sole. E raggianti annunciano
che il visto e il mai visto evolvono,
magari in nostra assenza, privi di segni apprezzabili,
ma coraggiosamente a lungo.

Così è il suo volto, questo il pianeta che ti disseta:
così, ampia e impiantata, è la polveriera azzurra
nel largo dio oscuro: l’Universo. Dal principio
l’ombra ha corso breve,
poi riferisce lo sviluppo delle altezze,
sulle quali un capitello ionico
– che qui sta come particella surrettizia –
regge la forza del vuoto. Dall’alto
non si vedono cime maestose e, per questo,
se cancelli il colore, everest e sahara sono
sullo stesso piano. I dettagli –  che qui stanno
come i più interessanti degli uomini –
appaiono ancora meno degli dei.

Conosco superfici calme che cedono serenità
impedendo alle turbolenze di venire a capo della pelle
e altrettante crespe – che qui stanno come i pioppi
e la loro lanugine – darci oggi il nostro soffio
quotidiano prima che tutto vada all’aria.


foto: dal web (elab. ferdigiordano)