perché
proprio all’Africa si mostra lattea
come
nei sogni infantili maculati dalle apnee
l’eterna
unzione del risveglio
materno.
We’re going to Mars: pensò
che il nero sul pianeta
rosso ci stava bene con
che il nero sul pianeta
rosso ci stava bene con
quella
matta di ragazza
dismessa
e gravida
che
fece un figlio mentre rotolava
dall’altopiano
nel bidone meno aereo
che
c’era, e non si sa bene
in
quale volo trovò l’uccello
che
le ammattì anche il ventre.
Dalla
savana guardò di sbieco gli USA,
l’URSS, tutte le confederazioni
dei
rigattieri dell’UNESCO. Chiese quanto
serviva
per
il programma spaziale da Lusaka
al
futuro.
Piantò
le lance negli elmetti inglesi,
convinse
che bastavano quei caschi
in
atmosfera zero e la pelle scura
per
lo sbalzo dal sole all’ombra,
preparò
le latte per la fusoliera
e
l’elastico per il lancio,
ma
non partì, né lui né gli adepti
del
rame.
I have a dream, diceva un anno dopo MLK
(che
in cielo ci andò davvero e ancora c’è)
mentre
lui rideva al corso spaziale
sullo
Zambesi:
spero per lui che if he has realized
the dream was the
natural way.
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