Poeti di lungo morso





Dovunque si adatti il vascello, lì, la prima acqua.



La tireremo, perché senza peccare

di rotta, timoneremo santi

e opere lunghe di confessione.



Andremo, e andiamo quindi,

a umide risate con l’organico disponibile

asperso a stille, convinto sacramento del sedotto bene

che i bulbi oculari riconosceranno proprie,

esatte, sensazionali.



Noi sapremo dire del pianto

tutto il sale che lo colora

e, giacchè saranno trasparenti,

forniremo rampini alle gocce

perché scalino gli zigomi fino alle vette dei capelli



e là, saranno opportuni lavoro e sudore.



Non c’è strada, in questo mare, che non affondi.





2



Ho scritto in un post

il luogo in cui

visito il fatto.



Quello non è un post qualsiasi: è

indicizzato, riconoscibile se se

ne fa richiesta, se

si infila la mano si

prende il testo

per questo



il dolore non fa il pianto:

ognuno fa quello che può.





3



Anche il commento decente

lo stupore di qualsiasi Paolo

da Damasco, caduto per via

dei verbi di metallo cocente

che qui non s’usa.



Quei primi poeti s’accendono

e nessuno vede ancora la fiamma



che non si scrive

perché non brucia che loro

 i primi poeti

gli ultimi dei morti



insostenibili





4

Ci sono dunque le ossa,

-  già comprese, mi pare, nell’offerta

natale -, vorrei più vivo

il rimpianto: questo imperterrito

stupore nei commenti,

le vicissitudini delle tronche

vite, parafrasi

di date, e prese  



diversi da luogo in luogo di, complementi

acustici, voci esondate, rumore

clamoroso di lingua che incrocia

il vuoto da sapere.



Si direbbe, e lo diciamo, una fatica

di bagnino in bagno

di postino in posta

di netturbino inetto.



Su, lasciate la polvere su gli abiti

le sillabe comuni

ai comunitari del sillabario:

inventiamo la parola clandestina

poniamola nelle vertebre, facciamola midollo

del verso:

ad ogni parola sia concessa la dignità del seme.



Liberiamo dal solco la fioritura inusuale.

Abbiate coraggio:

sfoderate la prima lingua,

la meno affilata.



Scriviamo il vagito.





5



Si conviene  che ai cordoli il traffico

mostri strade

e lui



macchè! usiamo il marciapiede

come alternativa

ai voli per accadere ai tetti

dalle fondamenta

per l’idea di tenere i balconi sospesi,

in procinto di apparire uccelli.



I garage, ecco, i garage detengono

la parafrasi antecedente al segno.



Il parcheggio espropria gli immobili

nei cancelli.





6



Creata la frattura sul frontespizio della parola

ci si chiede quanta manutenzione

occorra

per rinsaldare l’intonaco del vespro

o, scavalcando il problema dell’occhio,

si legga naturalmente

la fibra del senso, la profezia del muto orto solingo

la fruibilità dell’elastico che mantiene

comprensione al soggetto

mentre esplode la dichiarazione

che non ci appartiene

questo pensiero



né lo stesso movente.



7



Corte, semplici, susseguenti le dita,

abbandonate dai polsi, decisero

le unghie che il verbo è

il vero graffio

il produttore del gesto.



È, così come ho, più che rena

che non segna ore ma finissimi suoni.



È tempo,

ho tempo:

in ogni caso la pace rende dura la guerra.





8



Centinaia di altre migliaia, ordinate, in seguito

alla disposizione

come si dovrebbe ammetterle



parole, non per caso ma per concorso,

inavvertite, non convocate

eppure presenti, rispondenti



                        che significa fuggirle?



E’ il timore di intrufolarsi nella loro permalosità

accademica di lemmi,

lemmi lemmi, lentamente,

al passo

fermi!



Chi le cancella: uccide, devasta la costruzione

terrorizza la sillaba avvenente

che per sempre scompare.



Plasticamente si può morire

senza rigidità articolare.



Esse vanno da ognuno a ognuno

incuranti del rifiuto, dell’ascendenza

non protratta

                        mostrano l’encomio

della scala alfabetica, il matrimonio consonante,

         il traffico nella clausura dell’idea,



                        l’idea che dici, che ti prende mano

mai più apparsa uguale

levata.

9



Il seme, dal syntaxa al cernicchio

non potè osservare l’etichetta, il foro, nè tutti gli altri

accidenti del pane, ma non soffrì

dei denti. Sorrideva nello stelo.

Occhieggiava alla terramadre.



In quanto seme, e sola avventura iniziale

non dichiara la predizione del morso.



Farò un esempio: dove compare

l'orma di un passo tra marmi

siamo soliti incastrare memoria

o, in più misurato accostamento,

la deiezione delle ossa

dai discorsi sulla vita, nell'enciclopedia universale

dell’oltremondo. Per questo,

e di questo, alcuni epigrammi

sollevano tendenze che deturpano le foglie.



10



Mi solletica una dolcezza vocale. Quasi

una cadenza elementare da una lingua ignota

che riporta il gesto sacrilego,

la tua prima carezza approfondita,

all’angelo ribelle, e ne cancella la conta. Restituisce a dio

il suo iniziale esercito: ma a che gli serve

se tutto è puro?

Da ciò, si chiarisce che

la furia è incapace di attenuarsi

nella scomparsa del nemico; solo il vagito

come si sente, come si scrive,

testimonia l’indifferenza al miracolo

della pace.



11



Ecco, mi pare l'ora adatta per l'espressività

del detto: meglio svegli

che male addormentati. Non era così, ma

adattarsi è un bene, quasi una condanna

da sostenere.



E' il momento in cui uccelli e pigri

hanno lo stesso numero di ali, nonché

un nido scoperto. Le ali ferme,

i nidi che accecano i voli. Nessuno vuole

il lavoro del carnefice. La mattanza dei passi

che entrambi compiono - uccelli e motori aerei -

ha scopo di privare le strade

del mantello. Evadere dal panorama

è fornire il luogo

di un servile attraversamento.



Ci occorre essere invisibili se,

e solo se, qualcuno osserva

il primo comandamento.





12



Chiunque viene, ed è già nuovo il grano,

sappia tenere la roncola esaudita di tagli. Elimini

il filo sottile dalla lingua metallica. Entri nel campo

senza recidere i tralci. Discuta, se può,

del vino per il sangue, del pane per servire.



Chiunque viene parlando, ed è come l’alba,

troverà  il termine adatto nella concavità o

solco: in entrambi si situa l’abbraccio levigato,

più che maturo si spera il bene,

formula del colore apparente.



Il frutto che è caduto a mezzogiorno

ha aperto i denti alla sera, carico già delle notti

che gli ha trasmesso il ramo.

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