Chautauqua

            Chautauqua dello spazio e profondità nell’uso del grandangolo.

            Ho visto il sole venire alle mani con la luce.
            A conoscerli, s’intuiva che sarebbe accaduto. Ho taciuto, non c’era altro da fare… Questo perché la luce proveniente dal sole non può avere alcuna rivendicazione, che so: un aumento di grado, una nuova direzione, un’ora di spacco, una libertà associativa col suono.

            Il disco immenso, così piccolo da tenerlo tra due dita lì dov’è posto, possiede un suo fuoco inoperoso. Una sorta di emergenza distinta, la nuvola da comporre se avvampa troppo.
Da quel punto, chi vi parla, ha escluso la miopia delle congetture. La non fruibilità delle deduzioni. Qualcuno osserverà che anche la pupilla possiede una sua rivoluzione. La risposta oggettiva è che nel caso delle stelle, l’universo possiede una strategia per far sue le stagioni, come pure le rotte.

            Eppure la luce si è opposta, ottenendo che il giorno divenga giorno tutto intero, senza sera nè notte, forse nemmeno il tramonto.

            Sparito il buio, rimarrà l’ombra, unico testimone a favore dei corpi. Ci saranno sigilli splendenti intorno alle cose: le riconosceremo non dall’uso, ma dalla voce. Funzioneranno chiavi di colore come nei fiori. Si apriranno nuove prospettive alle case e dai tetti aperti si potrà cambiare l’orizzonte.

            Nessuno muore in queste condizioni, né si oscurano i perimetri dei vuoti. Le pietre vivranno col loro salario di polvere.

            Ferisce anche noi, ma è una buona soluzione: ora tutti sanno dove guardare per scoprire cosa sono, in fondo.


            Chautauqua dell’umore dei gatti e modalità dei miagolii nella riproduzione.

            Ciò che appare alessandrino nei felini domestici è l’indifferenza per l’occupazione degli spazi. Mai troppo loro, mai troppo tuoi. Un gatto è inamovibile dal suo punto di vista. Esibisce noncuranza, la espone ai tuoi gesti, la esaspera per quanto contingente alla stanchezza che ti attanaglia, alla voglia di goderti la seduta come la sua alzata. Un gatto è un mobile semovente che rimuove le urgenze e le trasforma in indolenza.
            Non appartenendo ai loro discorsi, alla loro cultura d’essai, siamo esterni al pelo, al loro ventre immane ed accorto; spesso alle loro dipendenze, subito dopo le vibrisse; quasi un tatto.
            Ma i gatti non tradiscono la natura che li accoglie calibri di libera solitudine. Non si accompagnano, né si frequentano. Non li vedi al bar, né scarrellano al supermercato. Non posseggono carta di credito e non manifestano in piazza il piacere del sangue. Sono cacciatori bonsai: piccoli e determinati. Ufficialmente accomunati alle tigri, che mai scelsero a rappresentarli.
            Quindi, sono felini disabigliati della ferocia, nudi per vasti tratti del gioco. Non mostrano i denti, non li affiancano alle unghie. Portano la notte a spasso nelle pupille: non può nascondersi, non può fuggire: la notte li ama a suo modo ampliandogli lo sguardo che prende a noi. Il gatto ha un deserto nel pelo e varie sono le dune che si accioccano. Guardo spesso al suo muso puntuto, alla faccia piatta, all’occhio aperto. Immagino la sua paura o la sua indolenza. Immagino che vinca dove la vita perde la sua avvenenza. L’eleganza lenta, angosciante, austera.
            All’improvviso, s’inarca sullo scheletro: emette pensieri di pelle. E’ sazio, si distende. Punta il suo timone con flemma: emigra dalla rotta solo per l’acqua implicita nella paura. Smeriglia la cornea tra i suoi cuscinetti. Espone le sue otto spade all’universo, senza segnarlo mai, senza mai sottrarne le comete.
           
            E’ terrestre della migliore specie.

            Il gatto ama offriti un compito: va’, dì che siamo vigili e mai domi, che si metta la giusta grazia nei miagolii dove c’è una donna.     



            Chautauqua del Divino Splendore e volume della qualità esistenziale.

            Che tutte le cose abbiano una provenienza ed una destinazione è ragione del pensiero che ci muove tra due stazioni. Sicchè, fatta la debita timbratura, è opportuno cercare un posto comodo mentre il viaggio macina inesorabilmente la strada. Tutto ciò è possibile vederlo mentre da un lato scorre il paesaggio di cui siamo tipiche ombre e dall’altro è possibile conoscere il signore, nel suo esemplare atteggiamento di un qualche passeggero.   
            La certezza che tutto esista, ma non sempre è reperibile a due passi da casa, fa porre domande che non avranno mai una risposta immediata. Ad esempio: perché tante pietre vengono tirate e nessuna si allunga? Ciononostante, furono tutte scagliate o rimasero integre fino in fondo? Chi mi chiama da laggiù? E’ solo un ricordo di prima dell’anima o lei mi ricorda la transumanza tra il dentro e il fuori questa pelle? E’ occupato il posto di fianco a lei? Risposta: Lei non sa chi sono io.  
            Non si può diversamente dire della dissolutezza provocata dal richiamo dei lampioni quando si conosce la notte, della volatilità degli aereoplani che annuvolano più dei cirrostrati ed insieme della manifestazione di hula-hop che una nave offre all’insaputa dei pesci.
            Eppure: ogni giorno è un seguito di ore, una processione di scomparse, un corteo esemplare di minutaglie di tempo. Come si può, da tanto poco, istituire una improbabile sopravvivenza di umori sorridenti? E’ il prossimo mistero dell’universo. Non dell’uomo che mostra i denti e sghignazza dell’ultima ora. Ma davvero il tempo può essere segnato con precisione? Meglio il righello o un circolo vizioso chiamato orologio? Che sa dio dei cucù svizzeri se non gli appartiene prendere appuntamenti, quanto semplicemente darne in una sola chiamata?
            Viene reso finalmente chiaro il miracolo: la sua bolletta energetica a costo zero. Tutto il materiale riciclabile nelle fiamme dell’inferno. I corpi dove stanno meglio, cioè in terra, non servono. Bruciano subito e fanno solo fumo, però l’anima è un combustibile eterno: e quanta ce n’è che sfavilla!                                  



            Chautauqua delle coste occidentali a nord di capopalinuro e mappa delle zone erogene nel golfo mistico.

            E’ facile ricevere sensazioni positive dalle accolite di onde che vengono a frangersi provvisoriamente sulle gambe del molo di ponente. Sono infantili nel rincorrere i cefali. Sono sciami di gocce che portano il cielo in terra.
            La costa abbraccia l’orizzonte come un gemello. Lo esamina. Sonda il suo disservizio di rotta. Poi lo curva per leggerne l’arco seducente. Attraversa l’ago della bussola verso sera. Subisce il suo stesso disegno di mongolfiera e si solleva.
            L’onda è un massaggio imperterrito. Trova le profondità coerenti e le dissemina come dovessero rinascere altrove, forse non sparisce il lido, solo trasloca e poi ritorna, ma quando? Abbiamo messo nuove braccia di roccia e vi approdano nuovi gamberi, ma non i tonni. Questo mare muore di tristezza e se ne va lento nella corrente sgomberata dal cemento.
            E’ vero, le chiglie portano i tragitti ad essere brevi, concisi, immediati, ma spunta un fragore di voci che intestardisce i gonzi. Si urla a squarciagola il nome delle ricciole che non rispondono. Né si intenerisce il

            Mi chiedo: se la serenità dell’ultimo fiordo è al tramonto, chi saprà convincere il maestrale a tornare per un giorno ancora? Ero sulla tavola a vela. Avevo sempre un vento nuovo da cercare e il vento si lasciava trovare. Ero il motore del mio piccolo scafo e la corsa e il laccio e barca tirata, con la sua zavorra di sabbia perché fosse più stabile

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