Un pelo dall'acqua più fredda si alza la
paratia
nell'aria. La nave galleggia a vampa sul mare.
La nave, la nave che grido: diavolo, ribolle!
Accosta al bianco il fianco e stanca del golfo
riduce lo specchio a riflesso.
Fuori ciò che si vede non ha connotati,
muta continuamente le creste
il sonoro del mare: soprannomi
trasparenti che sbarcano il lunario
tra le perchie: ehi Carrafiello! Ammazzacani!
Tripolino! Richiami che danno respiro agli
assenti.
Ricordo il mio Comandante salpato in salita.
La chiglia sulle scale nel fianco della costa:
pietra dura che fonda la collina e il cimitero.
Una nave che solo lo scheletro è rimasto di
sale
e sopra il ponte la campana chiama:
Carrafiello!
Ammazzacani! Tripolino! Da questa riva
all’altra
si va in un grande mare, anzi, più ampio
degli oceani che posso immaginare. Qui
l'orologio è un'elica incurante della scia
e il motore del tempo è un ingranaggio divino.
La fata, la nave, è magia tremula in un luogo
di vetro.
Il vetro con tutto il mare nel golfo riflesso.
Il mare non distingue le ferite ma sana
col suo umore salino lo scafandro che l’anima
indossa per calarsi nello specchio.
Una fontanella gocciola e fa male la sua parte
di nenia ritmica, per ciò il fantasma - la nave
morgana -
salpa in quell'attimo dal vetro alla terra:
zac! sparita ed io sorpreso, davvero inadatto,
invidio ai pesci il loro guanciale.
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