Fiordo di Furore - Costa d'Amalfi (SA) |
Avevo
spostato il peso dell’anno
da un
calendario all’altro. Da un lunario
a un
orologio: affrontare il tempo
in campo
breve è certo più comodo.
Se il
tempo fosse solo conto di miliari
avrei
penato niente a tenerlo a mente.
Ma il
tempo si ferma in un secondo
e tira il fiato,
ti mangia
da neonato e quindi ti caga
nelle isole beate.
Tu sei quel
momento in ogni momento,
io anche,
quello testardo
della partenza, che incespica
nei lacci.
Lo vuoi
sorpassare, e sorpassi, ma non so quale sia
la
manovra più indicata: la divaricazione dell’utile
dal suolo
o la deriva nella sabbia.
Bisogna
liberarsi dei cavilli, aprire
il
recinto degli sguardi e farli correre
su ogni
terreno coronato dall’alba.
Shabine l’ho incontrato dal mio
giornalaio.
Non ci furono
tenere attenzioni: lunghe meraviglie
si
spengono improvvisandone l’uso; il busto di Tiberio
mi ha aperto
cento domande a scelta multipla; ho usato
i raggi
di queste ruote senza averne il motore:
l’acino
dalla
chiarità dell’aria al fasciame avvinato,
il respiro
dalla
cerchia dei polmoni al desiderio contemplato.
E se in
quest’attimo venisse una bolla a prendersi l’aria,
sarà il desiderio
che non arriva al raccolto.
Il raccolto:
striminzita mammella.
Una parte
di madre, una di storia,
l’ultima di
un viaggio con l’andatura
dei
secchi vagabondi.
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