31 gennaio 2016

Deviatori di spinta

Immagine dal web (elab. ferdigiordano)


Parlavano di quanto esprime l’emozione
un alfabeto cordiale, insignito della lingua
per la commozione privata. Una sorta di
capitaneria del vocabolo, una torre di volo.
Da un lato senti gli aviatori: pochi, funesti,
perché alzandosi si alza la voce e l’armamentario
delle abluzioni, corvi, o curvi, non ricordo bene,
sui motori. Dall’altra parte, i pedoni: poco mossi,
con una camminata da gazza, angosciosa. Ma noi
sappiamo, diceva l’Indice, che dove c’è lungimiranza
lo sbattere e la planata coabitano nelle ali, ma resta
un divieto, un “passi per piacere altrove, più al largo,
vada oltre, oltre, oltre. Umetti il dito e sfogli.”

È sentirsi appena sopra l’orizzonte dei coglioni.

In un mese, più di millemila tasti premuti provocarono
una piena di carta, grane sottili schizzate di inchiostro
congenito ai fogli, venature nere stampate sul
liquido e, della stessa pasta, segni solubili a fondo.
Tocco terra e niente si muove, mi frena e consuma
ferodo prima che gli occhi sbattano di nuovo.
Pensieri con le ossa chiare, tendini esili, per questo
facilmente con torti. Non un solo scheletro
si è formato in quel periodo privo di muscoli adatti.
In un tempo troppo ampio per due parole
presi un po’ di respiro quale prassi
di sopravvivenza all’opera.

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