Prendo
una pietra. La prendo in modo che essa si chieda
che mai
la sollevi e perché dovrebbe volare sul prato
da un
punto all’altro, da una mano al vago.
Prima ero
al telefono con il mio cardiologo
e sono
rimasto di sasso: stai bene, ha detto, non pensare tanto.
Sento
ogni nervo disteso che il pendio ha finora levigato,
vedo
nella piccola roccia l’eternità dell’atomo. Immagino
ogni
sorta di micromotori nel mio torace. Io so
che un
cardiologo non è un’aquila, non spazia tra vette
ma
sostiene la mia cattedrale, eppure sento pulsare
la pietra
con un leggero affanno. Le dita
la
avvolgono come un costato.
Immagine dal web
Nessun commento:
Posta un commento
Grazie per aver voluto partecipare a questo blog. Per prevenire azioni a danno degli Utenti, il commento sarà moderato, poi pubblicato.