In una
congettura trovo la luce:
per
assioma, la notte non dura.
Appaiono
sui lecci i sintomi del giorno
e la
guaina del sole viene con brividi sereni.
Chiamo
congettura ogni poggiatesta
di carne:
lei dice che i lunghi capelli sono
causa di
calvizie o di solletico – confermo.
Si sposta
in cucina con un sonar nel ventre.
Credo
resti interdetta quando cerca il bagno.
Non è
ancora mattino,
mi
aggiusta quasi avessimo traversato la notte
in una
cabriolet. Si chiama Rosa, o non risponde.
Un
indizio sono le spine: per come carezza
non
diresti siano artigli. Non l’ho detto,
però mi
attrae il pericolo.
Qualcosa
ricordo, forse un gemito
sfuggito
dal torpore languido, ma chi è sveglio
spesso
esprime un ritardo della notte.
Non farò
mai in tempo a raggiungerla.
Non è
possibile e, per fortuna, lei mi aspetta.
La
dignità, invece, ci prende improvvisamente:
tiriamo
il sogno fino al mento, con tenerezza,
tuttavia
non è ampio abbastanza come coperta.
Mi
piacerebbe
che le
voci restassero a letto, invece sono
le prime
ad alzarsi. Le voci si alzano
perché i
sussurri sono lusinghieri
e di
fronte, la luce dà vita ad un fianco.
Immagine dal web
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