7 ottobre 2013

La fata morgana era una nave

Fata Morgana - Ferdigiordano



Un pelo dall'acqua più fredda si alza la paratia
nell'aria. La nave galleggia a vampa sul mare.
La nave, la nave che grido: diavolo, ribolle!
Accosta al bianco il fianco e stanca del golfo
riduce lo specchio a riflesso.
Fuori ciò che si vede non ha connotati,
muta continuamente le creste
il sonoro del mare: soprannomi
trasparenti che sbarcano il lunario
tra le perchie: ehi Carrafiello! Ammazzacani!
Tripolino! Richiami che danno respiro agli assenti.

Ricordo il mio Comandante salpato in salita.
La chiglia sulle scale nel fianco della costa:
pietra dura che fonda la collina e il cimitero.
Una nave che solo lo scheletro è rimasto di sale
e sopra il ponte la campana chiama: Carrafiello!
Ammazzacani! Tripolino! Da questa riva all’altra
si va in un grande mare, anzi, più ampio
degli oceani che posso immaginare. Qui
l'orologio è un'elica incurante della scia
e il motore del tempo è un ingranaggio divino.

La fata, la nave, è magia tremula in un luogo di vetro.
Il vetro con tutto il mare nel golfo riflesso.
Il mare non distingue le ferite ma sana
col suo umore salino lo scafandro che l’anima
indossa per calarsi nello specchio.
Una fontanella gocciola e fa male la sua parte
di nenia ritmica, per ciò il fantasma - la nave morgana -
salpa in quell'attimo dal vetro alla terra:
zac! sparita ed io sorpreso, davvero inadatto,

invidio ai pesci il loro guanciale.

Ho trovato la sintassi come era



Durante tutto il viaggio la nostalgia non si è separata da me
e del viaggio nulla mi resta se non quella nostalgia.
N. Hikmet

Sono una valigia di pelle, Dentro,
ossa ammennicoli di terra aromi di porto
odore di stazioni che non si muovono
ma spostano i viaggiatori con attenzione
                                     agli accenti.
Proprio lì le formiche accentuano
spigoli pareti piancito convogli
frenetici segnano con verbi chimici
la sintassi più comoda ai trasporti.

Ci sono sconosciuti in ogni luogo
ma non aver paura: la valigia è di pelle
il terrore lasciato altrove sguaina le case ora
Ho portato ogni cosa (in vero non molto)
                                La casa giusta è con me
Non ho permesso si svuotasse di pesi
non ci è mai permesso lasciare indirizzi
se non siamo città capitali caput mundi
                                Il cammino continua
senza orme: soprattutto da uomo la stazione è opera
dei binari quindi non mia ancor più il porto diventa
un aggregato del mare quindi non mio e la casa
è la sensazione più arcaica che giusta
la nuca intraversa un brivido a vederla
                                per mancanza di spazio
Ma non c'è davvero lo spazio e per il creato
non ho che un futuro Il solo futuro è sulle facce
nuove

Stanno come rivolte

come rivolte colgono impreparati.

Cante jondo

Gillo e la Luna


Vedi ragazza che sali sul carro
la ruota cigola se la stella sale
e sei una col cappello di paglia sei
più del grano che il carro può portare
segui l'asse che congiunge alla stella
la stella senza faccia alla faccia che ha perso
patisci con me la distanza eppure tu canti
e il carro che cigola ha l’asse
malato e il cavallo, il cavallo
è solo un soldato urlante
per la ferita nel fianco.

Vedi ragazza, quelle che passano
senza il cappello di paglia, il sole
il sole converte i capelli in sudario
e il cuore che cigola è un cavallo
un cavallo bendato ma non è ferito
è solo un soldato già fucilato.

Già fucilato! Vedi ragazza, amanti e soldati
portano il cuore a farsi sparare:
dagli il tuo canto che non hanno riparo.

24 giugno 2013

Infiniti per gli occhi

ferdigiordano©2011


Aprire gli occhi nel corpo: scoprire definitivamente
dov’è il senso
                   cercare tanto non sagome non presenze
Scoprire dentro
cosa industria nei gangli: viti e bulloni
e aste e tendini e nervi e motore che gira
contromano
                   Avere orecchie rivolte
all'interno Sentire le dita sotto la pelle toccare
il calcagno
Sfasare la voce dall’onda delle parole
Scoprire scoprire e confermare
                   la tettonica dell'amigdala
                   la pangea emozionale
                   il continente sacrario
raccogliere le primizie della scatola cranica
                   
Aprire la terra aprire questa terra antecedente
abbassati calarsi nella voragine
fino al reperto indigeno
al capezzolo della sua radice piantare le labbra
                   Aprire la zolla perchè l'occhio
visioni l’ingranaggio
                   Aprire gli occhi dentro

è svoltare nel minuto iniziale.

21 febbraio 2013

Ippocondria

Immagine dal web

Nasce da me un galoppo a spronbuttato
ventre a tetti e vola o scalpita lo zoccolo
del verbo sugli spioventi: ma niente è più
come le tegole. Terrazze: tutto piano e colmi
rimasti resti del cammin a mente nei panorami.
Tu vedi lontano
tu sei più lontano, ma vedi
dal punto in cui infossi
la cavalcata? Siamo gocciole da scoli, forse
da torri, ma abbiamo la stessa natura dei colmi:
copriamo dove sgocciola la parola 
sul suo primo davanzale: delle labbra avrei detto
anche: la finestra sulla gola fonda.
Mi diverte
scrivere in tanti sensi, in questo modo
non c’è secchezza. Il tono asciutto lascia 
durezza, corrode l’ingresso nel dialogo.
Questo di Simeone
mi colpì: “Egli andava a morire.
Spalancò le porte, / e non sul chiasso della vita, ma della
morte / sul regno sordomuto. E andava Simeone/
in uno spazio privo di spessore.” Brodskij mi
intenerisce, dice dell’Uomo che aveva visto l’Uomo
annunciato, il Deifinitivo, e uscì dal Tempio per
restare nel tempo. Brodskij (e altri) misura
la mia pochezza e lo amo (amo anche altri). 
Per questo penso
alle tegole ancora e non mi illudo
con s: non siamo consonanti, per troppo.
Inauguro qui 
la drammaturgia della vocale, il sospiro 
dell’opera: perso il coro smarrito
nei luoghi limitrofi a questo, ora il suono
è uno strumento: non nasce da esso, ma fra me e te
un rumore fa più scena del sospiro 
e se prego anch’io viene un nitrito a farmi
male dire ciò che ho sempre creduto solo
in vocazione libera.
Le parole non possono
volare che a stormi nè essere cordoli lassù:
nessuna mappa conduce all’i sola ma tante e tante
non àncorano e ancora e ancora
vie infinite l’e congiunge: via il numero
via la nota via i noti via i nodi via in un lampo
e tuono a martello sul chiodo fisso
- questa irritante definizione:
morto senza corpo ferito.

15 febbraio 2013

Guerra fondai





[Guerra: lotta tra stati, o all'interno di uno stato, condotta con le armi passate per gli uomini o con gli uomini passati per le armi.
2 estens. Azione volta a combattere elementi o situazioni considerati dannosi per la salute morale o materiale, purché non se ne disponga traffico lucroso.
3 fig. Divergenza, contesa fra individui o gruppi, volta a piegare il morale dell'avversario o a piegare l’avversario alla propria morale.
4 fig. Concorrenza commerciale spinta all'estremo; contrasto economico esasperato, collutt(u)azione monetaria.
• sec. XIII, prima e poi, praticamente](*)

Pertanto la guerra è un atto esigente macerie, un volano
di urla, ricoveri, carriere e corrieri spezzati.
E’ se la parola diventa acciaio puntuto
o se arroventa il gelo, rimpingua i fossi, interpone
tra udito e sparo il corpo; se accavalla le gambe
nelle pozze rosse; se celebra la mira con la pisside
del torace o il tabernacolo del cranio o qualsiasi bersaglio
in movimento. Se inaugura il cordoglio 
cancella il patronimico, diviene conto sotterraneo.
Ed è se un concistoro di energumeni dorati dimentica
che chi scavò quell’oro, scava la trincea
e chi lo gettò via dal collo, dal collo pende
e chi al collo ha ancora catene rozze è la razza
antecedente ad ognuno di noi.
            Scompaiano dalle vesti
il luccichio, il rombo, la peluria finalmente: - Signore!
fa' che mio figlio parli agli uccelli, ai pesci, alle trebbie, ai meli,
io ti aiuto col grido, finché posso.

(*)da:  dizionario il Sabatini-Coletti, liberamente reinterpretato (nda).


1 febbraio 2013

Li scompiglia




Seduta, ampia calma o tenta
attentamente aperta tra legno e fioritura
mimetizzata nel ramo esangue e morta fino a ieri.
Prova a sollevarsi punta dalla voce, leva
incessante tra chiamarsi e colpirsi.
È come un congegno ottico: mira
col sotterfugio dell’impatto segreto tra grazia
e rassegnazione.
So di averti incontrata
quasi per aria, in una radio, per un programma
di giochi, apparsa attesa e nubile: donna, la donna
senza piume la donna senza semina né adduzioni
tra gli angeli, scompigliati in genere.

21 gennaio 2013

Paesi e non più credenze




Cerano dalle candele luci fioche tremolii 
c’erano timide sacralità installate 
e correnti e le fughe cerano tramate verso loro 
ma lo sforzo di una fermezza di curve talune 
mosse verticali insinuanti almeno una santa
                               o giù di lì
i santi dei campanili dal loro punto di vista
alto. Così alto che aderivano le volute 
quasi pece ai condotti in basso. Tanto basso
che allo stesso tempo intimità e fiamma
raddoppiavano il rosso per familiarità d’intento.

Diciamo qui che il fumo è una volontà
di apparire dell’aria nel fuoco
- calori e canaglie: fiamma intimità
angosture in fondo. 
                               Vedilo
quel volto secondo da ante fatto ad arte
che indossa lo scomparso lasciato solo nome
dove è solo con altri soli
se quella mistura di trasparente cronaca
conquista il rito quotidiano ricordo
per dato.
              Se quel 
                          andò via da noi 
a lungo perso
ancora viene viene 
                              per darsi là.

18 gennaio 2013

Di visioni



Tra i due zigomi, il peso del respiro schiaccia il naso
più del diretto scagliato dal freddo gennaio.
Appena sotto appare una smorfia dal sorriso:
nulla sembra avere la dolcezza del piccolo soggiorno,
la postura del brodo, il ricordo del primo piatto rotto,
il servizio buono, quel cassetto vuoto.
Tra gli zigomi c'è la rivalsa di un ghigno.
Nel contrappunto evidente cornicia il ricordo
un suo trasloco.


*
Tutto il buio possibile dove si accovaccia il corpo,
tutta la chiarezza decaduta, l'introvabile
apertura del sonno, la coscienza per cercare 
il riposo, non verifica l'estromissione dal dubbio
la redenzione dai colori - nella vera colpa 
di doverne indossare il colloquio
il vocabolario di umori.
In questo scambio di parole precipita la parete
dove affigge gli occhi
ciò che non crepa e vorrebbe riunirsi.


*
Ogni suono mosso dalla sagoma, o lei in persona
dalla sua esclusiva visione esige lo scuotimento dei polsi,
incita alla gente, porta dentro la rabbia di fuori. 
Spostare un qualsiasi oggetto che le sia appartenuto 
cambia la casa, la scompone, seguita a cancellare recapiti.
La strada, nel vetro, esprime un segmento,
si lancia per andare nella sua fermezza. Non è un indirizzo 
del silenzio, nè apre all’ultima riflessione.


*
Potrebbe inarcasi, farsi volta, o una rete di lancette 
lì dove passa il tempo. Una cella a misura della gara
per non restare infinitamente secondi
sacramentare, maledire, uscire per primo
magari ora. 


*
E qui il gioco inventato: un procedimento di pensieri 
che attui la materia che non potè essere giostra insinuando l’epica
del dondolo: io che mi spingo oltre il tuo muro
la tua parete conscia. Solo urti e passi e il cuore della perdita.
Tutto in un segmento, punto a punto
una corda nel pozzo.


*
Poggiata, la polvere sui nodi dice del mantenimento 
decaduto, invade i sintomi della festa
li deprime nella nuvolaglia, poi ricolloca il legame
dove non sarà quel corpo certo nè sicuro.
Intanto cedo a sperare domani un fatto di ieri.


*
Benché tu non senta ciò che muto non è:
le mie ragioni, i passi inseguiti, la brezza delle mani
lanciate, i verbi coniugati, ti dirò: sulle spalle che ti portai,
per le vicissitudini di tutte le attese mancate 
(mai annotate, mai compiutamente descritte),
al carico, al sovrappeso attuale, la magrezza di un lascito
che mi infama. 


*
come poteva essere l'altrimenti? La risolutezza 
dell’anello così minuto, così perseverante al dito, frammento
che non ci parlò di alcuna barriera che non fosse la resistenza
vinta da una bruciatura.

*
Così tutto trasalì chiedendoci se i ceppi rimasti
fossero di legno, volti tagliati netti e già cenere,
overdose di secchezze, o segmenti analoghi 
alle sorti di ogni fiamma ardente.

*
La chiameremo età, ti dico, la chiameremo
come ovvia appare la piegatura delle date
in ogni cominciato, quanto non si risolve
ad un certo luogo, né l’uomo né il dolore.
E la chiameremo, ancora, e poi,
sotto la pietra - radice, cuore, ambizione, nullafacente -
quasi verme la vita
prosegue nell'umido l'unico abbandono,
la vera opulenza della fine.


*
E se cerco il posto convenuto non può esserci che vento
o, puzzle a parete, la sequenza di parole che sbanda il sereno.
Devo oltremodo evitare i richiami, la presunzione dei nomi
le impalcature di voci, le dovizie passate sottoposte a rumori.
Al bando i passeggi nel corridoio, stanco
del detto e ridetto da chi è riuscito a vivere oltre.
Si regge il presente col sangue
quando scompare il volto dai nervi.

*
La tua posta dov'è?