Sono
entrato nella rosa. Non potevo
farne a
meno, ma avrei fatto di più: mi sarei
radicato
lì, al piede del suo calice conteso tra
convolvolo
e verbena, sopravvissuto alla muffa.
È stato
facile: una rosa ha un solo pensiero
di seta:
succede a se stessa sul trono, succede
che
appena tempera l’aria il profumo la incoroni.
Mi darà
fragranza, sarà accogliente, tenera,
le
restituisco cura, resistenza e il tropico in
difesa
dal gelo. Il fiore più fiore che vedo
somiglia
alla bocca che intima appare al piacere
e si dona
come gesto di grazia allo stelo,
alla
larga dal vizio e dal tempo, una grazia solerte
per il
dettaglio dei corpi intromessi, a resa.
Allora vi
entro, rosa appena dischiusa, rosa
della
prima luce, rosa per l’umida fioritura
che la
imbroglia in genere.
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